Lo rivedo in ginocchio, il corpo allungato, la fronte che tocca il prato, proprio come il 27 giugno di due anni fa: quella era l’erba del MetLife Stadium, New Jersey, e Leo aveva appena lasciato la Coppa America al Cile dopo aver sbagliato il calcio di rigore più importante.
Lo rivedo e subito penso alle troppe disavventure in nazionale del campione che ho più ammirato dopo Maradona, la cosa più vicina a Diego che abbia visto negli ultimi trent’anni. E ai propositi di abbandono che seguirono quella drammatica finale: per il dispiacere provato Leo aveva deciso di lasciare la maglia più prestigiosa e soltanto l’appello dei suoi connazionali, dello stesso Maradona, del suo mondo, lo aveva convinto a ripensarci.
Il Mondiale di Messi non è ancora finito, ma adesso dipende dai piedi e dal cuore degli altri. Celia Marìa, la madre di Leo, ha confessato che per l’errore commesso contro gli islandesi il preziosissimo figlio era stato molto male, aveva addirittura pianto. Verserà lacrime anche stanotte e forse domani perché una volta di più non ha saputo essere eroe, leader, valore aggiunto, di una dimensione “altra”.
Trentadue anni fa, Messico 86, e anche nell’edizione successiva, Maradona era riuscito a rendere prima vincente e poi finalista un’Argentina non irresistibile: a Messi la sacra impresa non è riuscita, e non solo per l’ostinazione e le follie tecniche di Sampaoli o per le cazzate di Caballero.
Il marziano è uscito nuovamente dimezzato, uno del nostro pianeta: il 3-0 dei croati è stato quasi violento, definitivo.
Dopo il “Capra! Capra! Capra!”, titolo che ha fatto molto discutere ma che non voleva essere offensivo nei confronti di Messi, bensì celebrativo dell’impresa di Ronaldo, eravamo pronti a sparare un bel “Pulce! Pulce! Pulce!” che esaltasse la risposta dell’argentino. Evitato, con dolore: la speranza è che il vento contrario cambi improvvisamente direzione e che Leo si riappropri del ruolo e del sogno grande. «Non attaccare mai i campioni perché riescono sempre a farti rimangiare tutto» mi suggerì un giorno Robi Baggio. La parola del buddista è il verbo.
Fonte: Ivan Zazzaroni per Corriere dello Sport.it