NAPOLI – Avercelo un leader, e poi persino calmo: che non alza mai la voce, al massimo un sopracciglio; che sa prendersi con autoironia, confidando che gli «piace la coppa»; che sparge gocce d’anestetizzante, mentre intorno s’avvertono le urla anche sguaiate d’una città in preda ad una crisi di nervi. E con calma, ovviamente, che un bel giorno prende carta, penna e calamaio per tracciare un solco; oppure no, per svuotarsi di quel velo d’amarezza; o semplicemente per restare se stesso, aggrappato alla propria integrità, senza deludersi neanche un po’. Voi adesso penserete che Napoli-Milan sia esclusivamente una partita, con dentro le strategie del football, le diagonali di passaggio, le sovrapposizioni, le seconde palle da attaccare: invece qui c’è pure dell’altro, basta andare a rileggere un po’ il passato (recente, mica quello remoto) per scoprire che varrà, varrebbe la pena riuscire ad intrufolarsi negli spogliatoi, per capire cosa accadrà tra Ancelotti e Leonardo, quando si incroceranno e se lo faranno in quello spazio stretto in cui s’accenderà un flash.

PARIS – Magari non sarà rimasto niente in entrambi di quell’epoca, il tempo è un galantuomo e finisce per rattoppare le divergenze, o forse varrà il contrario, perché a volte dimenticare sa di affronto verso se stesso. Però ci sarà un istante, che sia breve oppure lunghissimo, che andrebbe vissuto, per custodirlo ancora, come quel fotogramma della memoria che Carlo Ancelotti, nella sua terza fatica letteraria, e che ha fatto appena due anni fa, riattraversando la Senna, gli Champs-Elysees, e quella ferita parigina rimasta lì, a bruciar nella carne.

INCONTRO – Eppure si potrebbe danzare intorno alla Storia, con la maiuscola sia chiaro, ch’è composta di nove anni e che portano in sé amicizie ormai radicatesi, e ce ne sarebbe di inchiostro da versare: però c’è quel capitolo che va dritto al cuore d’una vigilia, magari la lascerà intatta nel suo incedere, ma sa di narrazione d’un dolore. «Perdemmo con il Nizza, ma eravamo secondi in campionato e già qualificati alla finale di Champions con un turno di anticipo. Dovevamo giocare l’ultimo match con il Porto, vennero da me il presidente del Psg e Leonardo e mi dissero: se non vinciamo lei è esonerato. Tornarono alla vigilia e me ripeterono. Leonardo era mio amico, o almeno così avevo creduto, eppure non mi diede nessuna vera spiegazione».

Fonte: Antonio Giordano per Corriere dello Sport

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